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07/05/2012
Il Black Hole 5tet suona Zappa al Blue Note
Le regole si rispettano. Specie quelle che ci si dà da soli. Le regole però vanno esplorate, ne vanno scoperti i limiti e... Va bene, d'accordo, niente scuse: ho infranto la regola che prevede che l'elettrica non rientri nella "mission" di questo pseudo-blog. Ma mettetevi nei miei panni: Walter Donatiello (che ha partecipato all'edizione 2009 di UPASC) mi telefona, mi dice che sarà in concerto al Blue Note a Milano e che la serata sarà dedicata a FRANK ZAPPA. Per chi non lo sapesse il sottoscritto possiede 47 album ufficiali di Frank Zappa e il primo l'ha comprato nel 1970 (era Uncle Meat) alla tenera età di 14 anni... come avrei potuto mancare? E come esimermi dallo scriverne qui?
Milano, domenica 6 maggio 2012: il BLACK HOLE Quintet plays ZAPPA.Tiziano Tononi, il batterista del gruppo, ha scritto una lunga suite riarrangiando temi famosi del Grande in un gioco di citazioni godibilissime. Non cover, dunque, ma reinterpretazioni di "King Kong", "Let's Move to Cleveland", "The Torture Never Stops" ed altre, condotte con polso fermissimo dalle pelli e dai piatti del Tononi, che certi pezzi, oltre ad arrangiarli è riuscito a renderli perfino più complessi. Non paia strano che un batterista sappia allontanarsi dallo stereotipo di colui che per ore stacca i 4/4 nelle band più sgalfe. Lo stesso Magno Frank nasce batterista e patisce la noia del 4/4 al punto da scoprire i tempi più incredibili (13/1, 8/7, 23/11... davvero!).
E il gioco di Black Hole riesce. Per qualche istante nel Blue Note si torna indietro negli anni. L'incongruenza è data dall'arredamento del locale e dai vestiti del pubblico. Ma io e il mio collega e sodale Frank-dipendente Francesco Orlando oramai siamo caduti nel tragico gorgo, vittime del gioco "trova la citazione":
"Questo sembra la ripresa di Peaches in Regalia"
"No, è una frase da Jazz from the Hell, dalla terza traccia della seconda parte, sicuro, solo che la fanno con i sax invece che con i tromboni"
"Ti dico che l'idea è presa da Lumpy Gravy"
"Joe's Garage, miticoooo!"
Insomma le nostre perversioni più indicibili sono tracimate nell'Ego e abbiamo goduto come riccetti. Applausi, applausi, applausi. E adesso? In programma brani composti dai membri della band, ma vuoi la stanchezza (davvero tanta), vuoi che l'esordio sia stato di tanto impatto, spiace dirlo ma il concerto soffre di un calo, solo riscattato in alcuni momenti, ad esempio in No-parietto del saxofonista Gianluigi Trovesi e in Il Gobbo di Amsterdam, uno strano, ma simpatico funky del Donatiello.
Bravi i musicisti: Daniele Cavallanti, che mano a mano che il concerto procede si accartoccia vieppiù sui suoi sax (prima il baritono, poi il tenore); ottimo classico il sax alto di Gialuigi Trovesi. Più che un semplice bassista Michelangelo Flammia, per lui ci si permetta di citare un classico del Blues come Giancarlo Schinina:"Quello lì è un quattro ruote motrici, con lui vai dove vuoi..." Il Donatiello alla chitarra tiene botta ottimamente e il quintetto non risente del fatto che non sia il piano a supportarlo.
Un elogio a parte alla "Time Machine", a quel picchiatore di pelli e piatti che ad un certo punto sembrava una dea Khalì con le mani piene di bacchette mazzuoli spazzole, al generosissimo Tiziano Tononi, che mai ha mollato la redini del gruppo. Cappello!
L'unico appunto a Walter Donatiello: nel corso della lunga suite zappiana ha suonato una Strato che notoriamente non é proprio adatta alla zappitudine. Poi per il resto del concerto ha imbracciato una arch-top Washburn bianca (modificata mi si dice) dal suono zappiano. Perché non l'inverso? Ne ho ovviamente chiesto conto al Donatiello, che mi ha detto di aver cercato un suono che in qualche modo "sapesse" di Steve Vai, colui che di Zappa per anni fu stunt-man.
Sarà.
Ma io rimango della mia idea: la Washburn...
Un Paese a Sei Corde
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