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25/05/2014
24 maggio 2014: 99 anni dopo il mormorio del Piave, il TREFF, a Giaveno (bel locale) sente vibrare le pareti sotto le note di Davide Sgorlon e Stefano Barone. Qui si fa MUSICA.
La musica è roba che si sente, si vede e si tocca. E' parte della Storia, la musica scrive la Storia perché legge, comprende ed interpreta la Storia. Sia quella Universale, sia quella della Musica. (E mi cito da me...)
Davide Sgorlon e Stefano Barone. Stasera si fa MUSICA.
Insieme i due sono veramente impressionanti: non è una questione di volume, di tecnica, di numeri da circo sulle chitarre, no. E' una questione squisitamente MUSICALE.
Davide, come già detto in tempi non sospetti, crea paesaggi sonori e linee musicali che quasi seguono con un dito uno skyline immaginario (ma fino a che punto?), un orizzonte contemplato, descritto in dettaglio, un movimento impercettibile, uno sguardo. E le sue ultime composizioni testimoniano un'affinamento ulteriore su questa strada.
Il magno Stefano invece delimita il territorio sonoro con suoni/frasi/oggetti dal sapore cementizio. Li definisce, li trasporta, li posiziona accuratamente per creare architetture solide, pesanti, ma perfettamente modulari, riciclabili per definire sempre nuove topografie sonore. Un Lego fatto di musica.
Ma pensate: quale potrebbe essere la sommatoria di due linee musicali così apparentemente distanti. Pensato? Lasciate perdere, non lo si immagina.
Prima del concerto Davide mi annuncia che dopo il suo set suoneranno insieme, che non si sono messi d'accordo neppure sulla tonalità, che non ha idea di niente. Bene, penso io, o fanno una solenne cagata o ci sarà da godere. La seconda che ho detto.
Cari lettori, io sono rimasto ipnotizzato. Mi sono sentito portare in una dimensione sonora che dal vivo ho vissuto raramente: 35 minuti di vita in universi paralleli. Note lunghissime, eterne, ritmi quasi sottintesi, una formidabile sintesi di stili differenti, di musicisti che si sono lasciati portare dall'ispirazione verso terre assolutamente poco frequentate.
Facciamo un gioco: descriviamo quell'improvvisazione con la lingua dei sommelier.
Aspetto: molta elettronica (tanta davvero ma usata bene), una Larrivee tenuta come reliquia ed una Martin che sembra uscita da una rivolta di piazza.
Colore: tutti
In primo assaggio sentori di minimalismo, con tracce di Brian Eno e Arvo Paart. Poi scendendo su lingua e palato, palate di serialità e badilate di fremiti dalle sonorità quasi (ma molto "quasi") rock. E poi: aromi naturali, con sentori di influenze (quanto consce?) da Nono, Varese e musica orientale tradizionale. Urca.
Poi il palco è tutto per Stefano, i giochi sono ancora tutti da ridefinire. E Stefano, nobile architetto, rimette demiurgicamente ordine in quel maelstrom che lui stesso ha contribuito a creare. Quindi, spietatamente kantiano, ricostruisce per noi un solido universo attraversato da passioni ed emozioni, ma intellegibile, misurabile, conoscibile, dove tutto ciò che è reale è razionale, ecc.
Un ottimo concerto, una lezione di musica contemporanea: questa è musica del XXI secolo, signori miei. Peccato che i soloni da Conservatorio non fossero tra il pubblico, avrebbero avuto qualcosa da imparare.
PS Io lo so che Stefano e Davide, dopo aver letto questa mia, domanderanno: ma questo dove le ha sentite tutte 'ste robe nella nostra musica? C'erano, c'erano…
Un Paese a Sei Corde
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